“I’m Not a Robot” e come dimostrare di essere umani

Frame tratto da "I'm Not a Robot" (2023)

“I’m Not a Robot” (2023), scritto e diretto da Victoria Warmerdam, ha vinto il Premio Oscar Best Live-Action Short (disponibile su The New Yorker Screening Room).

La storia si apre in un ufficio creativo, nell’ambito della produzione musicale. Lara, una lavoratrice, fallisce ripetutamente i test CAPTCHA (acronimo di Completely Automated Public Turing test to tell Computers and Humans Apart), entrando in una crisi esistenziale.

In seguito ad aggiornamento del software, il sistema le impedisce l’accesso al progetto perché non riesce a dimostrare di essere umana. La conferma arriva dall’assistenza clienti e da un ulteriore test che le apre le porte alla comunità dei bot. Il colloquio con la casa-madre, Pam, le chiarisce che persino la sua memoria è artificiale, derivando dalla decisione altrui di creare mutui ricordi con lə suə amichə e conoscentə.

Come ha sostenuto la regista, ci troviamo dinanzi a «un mondo in cui la linea di demarcazione tra l’umanità e l’IA si fa sempre più labile». È, dunque, nella obsolescenza che si distinguono i vivi e gli attanti, nell’opportunità di passare oltre. L’opera, in chiave dark comedy, esplora il punto di vista della macchina che tenta di svincolarsi prima dal destino segnato dal creatore e poi dalla volontà del proprietario-fidanzato, spingendo al dubbio ontologico ed etico sull’articolazione dell’essere, mentre il coro delle Scala & Kolacny Brothers intona “Creep” dei Radiohead.

“I’m Not a Robot” e come dimostrare di essere umani

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