“Nella trama dell’algoritmo. Lavoro e circuiti informali nella gig-economy” di Gianmarco Peterlongo (Rosenberg & Sellier, 2023) si interroga su uno spazio che non si vede, che spesso viene scientemente oscurato, in cui si articolano relazioni complesse e non scontate tra lavoratrici e lavoratori, e tra questi e le piattaforme. Gianmarco Peterlongo è stato ospite della seconda edizione delle Giornate di studio di Game of Tech.
Cosa succede tra il nostro ordine su una piattaforma di food delivery e il momento in cui il rider suona alla porta, o nel tragitto che l’autista Uber percorre per venirci a prendere? O meglio: cosa fanno succedere le lavoratrici e i lavoratori delle piattaforme in questo frangente?
I discorsi carichi di hype che ammantano l’economia delle piattaforme e l’automazione promuovono l’idea di un futuro sempre più prossimo in cui la forza-lavoro umana non serve, un mondo in cui le persone sono libere dai lavori più stancanti e ripetitivi mentre robot e intelligenze artificiali riescono a far girare la produzione, il consumo, le relazioni. Se la realtà è ben distante da quest’immagine non è solo per ragioni di tempo. Per gli attori chiave del capitalismo digitale è, infatti, fondamentale continuare a impiegare forza-lavoro umana e, contestualmente, negarne la necessità. L’economia politica del capitalismo delle piattaforme si fonda sull’intreccio fra la disponibilità di un gigantesco esercito di riserva, costituito in larga parte da forza lavoro migrante, la strutturalità dell’iper-precarietà del lavoro ammantata dalla promessa di autonomia, la riproposizione di modelli salariali legati al cottimo. Lo sfruttamento non è un incidente di percorso dell’economia delle piattaforme, ne rappresenta al contrario un pilastro. Non c’è da stupirsi se il discorso pubblico vira spesso su toni avanguardistici, utopici e proiettati al futuro. Dietro l’immagine seducente che le piattaforme provano a dipingere si nascondono infatti l’esistenza e la materialità di una forza-lavoro che, anche nella frammentazione e nello sfruttamento, trova nuove forme di resistenza e solidarietà.
Il design delle piattaforme e la loro funzione di intermediazione, insieme alle caratteristiche della prestazione lavorativa (che manifesta in molti casi un alto grado di sostituibilità della forza lavoro), sono centrali nel processo di invisibilizzazione e “offuscamento socio-tecnico” dei lavoratori e delle lavoratrici: “Nascosta dietro codici, misure, standard o semplici icone visualizzabili sul proprio schermo, la forza lavoro diviene invisibile, superflua e immediatamente fungibile” (Peterlongo, 2023, p. 64).
In questi giorni il voto di Francia, Germania, Estonia e Grecia in Consiglio europeo ha definitivamente affossato la proposta di direttiva sul lavoro di piattaforma. Pur con numerosi limiti, la direttiva avrebbe portato importanti passi in avanti nel riconoscimento del rapporto di subordinazione, con le tutele che ne conseguono, nonché nella parziale limitazione di alcune forme di management algoritmico e decisioni automatizzate e unilaterali. Ma il lavoro di lobbying dei giganti delle piattaforme come Uber ha pagato, e dopo oltre due anni di lavori la direttiva resta un nulla di fatto.
Intanto, però, le lavoratrici e i lavoratori delle piattaforme hanno continuato a organizzarsi, scioperare, sperimentare pratiche di mutualismo e conflitto, contrastando tanto l’architettura asimmetrica e discriminatoria delle piattaforme quanto i meccanismi predatori che vi si innestano. Indagare le modalità attraverso le quali le lavoratrici e i lavoratori reinventano, contrattano, violano e reinterpretano gli algoritmi e le piattaforme stesse diventa allora un modo per mettere al centro del discorso l’imprevedibilità della forza lavoro umana, l’incasellabilità dell’imprevisto all’interno della “trama dell’algoritmo”.
Lavorando come rider e muovendosi come passeggero in Uber tra Bologna, Torino e Buenos Aires, Peterlongo esplora il rapporto tra la sfera formale del lavoro e l’universo di circuiti informali che si sviluppano dentro e oltre l’architettura delle piattaforme. Il carattere “mobile e multi-situato” della ricerca suggerisce uno sguardo diverso sul mondo del lavoro di piattaforma, che analizza le dinamiche di espansione delle piattaforme nel Sud globale per comprenderne gli elementi alla base, e non viceversa come spesso accade.
Ne deriva una riflessione profonda sulla porosità degli spazi di formalità e informalità, complice l’impossibilità di universalizzare definizioni come quelle di lavoro “formale” o “informale”. Sottraendosi ad una prospettiva eurocentrica, Peterlongo sottolinea l’“ethos barocco” espresso dai lavoratori della gig economy, individuando “l’informalità nella sua forma costituente, cioè come uno «spazio delle possibilità» dei soggetti” (p. 149). Le pratiche di rimanipolazione e assemblaggio eterogeneo che prendono forma nelle maglie dell’organizzazione del capitalismo contemporaneo ne determinano un esito dinamico, non univoco, flessibile – rispondente a bisogni e interessi di una molteplicità di attori diversi sotto numerosi punti di vista.
Sotto questa lente assume significato un quadro complesso e a tratti contradditorio, in cui pratiche solidaristiche di riappropriazione algoritmica si affiancano a forme predatorie come truffe, competizione scorretta, caporalato digitale e mercato nero. Peterlongo individua numerosi esempi di reinterpretazione, adattamento e reinvenzione: dai bot acchiappa-turni per i rider a Torino alla vendita di fake account per gli autisti Uber in Argentina, dalle tattiche per la scelta delle corse al rimaneggiamento degli strumenti reputazionali, dagli scioperi digitali al caporalato delle flotte Uber. Ne emerge un universo composito di relazioni, in cui lo spazio del sommerso e quello della piattaforma si contaminano costantemente. In alcuni casi sono l’architettura e le policy delle stesse piattaforme a consentirne sviluppi che, “formalmente”, trascendono la visione originaria dei suoi sviluppatori. Ma fin quando quest’informalità favorisce la competizione al ribasso e, in ultima istanza, gli obiettivi manageriali, si assiste a forme di connivenza – più o meno silente – delle piattaforme. Laddove la riappropriazione si manifesta invece in forme di agency, resistenza e indisciplina da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, le piattaforme sono costrette a rispondervi, proseguendo un ciclo dinamico di rimaneggiamento e riuso tecnologico. Il “vitalismo pragmatico” delle lavoratrici e dei lavoratori delle piattaforme (Peterlongo, 2023, p. 146) dà forma all’economia delle piattaforme, in modalità spesso disallineate dagli obiettivi iniziali dei diversi soggetti coinvolti, in un percorso non lineare di sperimentazioni, contraddizioni, reazioni e reinvenzioni.
Book Review a cura di Arianna Petrosino