Non si può più dire niente

Meta moderazione dei contenuti zuckerberg

Nel Metamondo il discorso è libero soltanto se allineato.

Dopo il discorso di Mark Zuckerberg, stampa e media si sono concentrati sullo stop al programma di fact-checking. Meno attenzione ricevono i casi di shadow ban che da anni denunciano lə utenti appartenenti a gruppi sociali “woke”.

Molto prima che il Political Content Approach relegasse i contenuti “politici” alle nicchie di affezionati, la policy sui Contenuti Sensibili dirigeva verso la riduzione della visibilità testi, immagini e video contenenti hashtag e parole, discriminando deliberatamente la comunità LGBTQIA+, attivistə e coloro che si occupano di divulgazione. Il filtro individua la potenziale allusione e la nasconde allə adolescenti, salvo poi analizzarla come “sessualmente esplicita”. Meta ha ammesso che i sistemi stavano commettendo un errore. Il gruppo @glaad ha denunciato la censura sproporzionata nei confronti dei creators queer rispetto a etero e cisgender.

La categoria include anche i temi legati ai diritti riproduttivi (ivg, infertilità, contraccettivi, maternità surrogata). Secondo @feminist, le Big Tech stanno stigmatizzando l’aborto, mettendo in atto una peculiare censura nell’accesso a informazioni accurate sulla salute, che inibiscono l’autodeterminazione del corpo di ciascunə (vedi @reprouncensored).

La moderazione (automatizzata e non) agisce silenziosa tra contenuti rimossi, visibilità ridotta, account sospesi, pubblicità ristrette o vietate. Le linee guida introdotte di recente comunicano che la moderazione sul discorso d’odio sarà, invece, interrotta (già la fattispecie fornita come esempio associa persone trans a malattie mentali). I capitani del free speech stanno costruendo algoritmicamente un ambiente digitale in cui saranno gli unici a poter parlare. Se non li fermiamo.

Non si può più dire niente

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