“L’utopia dei miliardari” di Irene Doda (Edizioni Tlon, 2024) analizza la dottrina del lungoterminismo (longterminism), diffusa tra le élite intellettuali e imprenditoriali, e affronta temi quali il cambiamento climatico, l’intelligenza artificiale, le disuguaglianze, il potere e la marginalità. Irene Doda è stata ospite della seconda edizione delle Giornate di studio di Game of Tech.
I pilastri del lungoterminismo
Il longterminism è una dottrina molto in voga nel mondo tech. Qualcuno potrebbe spingersi a considerarla persino un credo o un’ideologia i cui testimoni si sono fatti largo tra le fila dei grandi gruppi di interesse industriali, per giungere poi presso governi e istituzioni internazionali. Si fonda sul seguente principio: «Le azioni che compiamo oggi – sia noi come individui singoli sia collettivamente, come società – devono essere mosse dall’intenzione di migliorare il futuro a lungo termine di tutta l’umanità» (Doda, 2024, p. 20). Ne hanno scritto Hilary Greaves e Willian MacAskill, il Future of Humanity Institute dell’Università di Oxford e il Future for Life Institute, fondato da Elon Musk.
Il lungoterminismo nasce dall’altruismo efficace (effective altruism). Quest’ultima teoria annulla il conflitto a favore delle cause: basta finanziare e sostenere progetti meritevoli per affrontare le sfide del mondo. “Fare la cosa giusta” diventa all’improvviso un’equazione eticamente efficace, come già professato dall’utilitarismo, secondo cui il bene (ciò che produce il maggior grado di piacere) e l’utile (per il maggior numero di persone) si equivalgono. Per raggiungere i suoi scopi protende per l’accumulo di ricchezze mediante attività lucrative al fine di investirle in cause collettive, come la povertà nel Sud globale. Anche il lungoterminismo non mette mai in discussione lo status quo. Si pone, invece, la priorità di orientare in modo positivo il futuro (il tempo come dimensione centrale) per il numero più ampio possibile di persone (la portata come misura del gesto). La priorità morale distingue l’approccio “forte” da quello “debole”, versione più moderata del pensiero.
La prospettiva di un evento catastrofico che metta a repentaglio l’esistenza di forme di vita intelligenti sulla Terra è lo scenario che il lungoterminismo vorrebbe scongiurare. Per questo, sostiene, agire nel presente per cambiare i valori delle persone e le istituzioni politiche può arginare il “rischio esistenziale” teorizzato già da Nick Bostrom nel 2002. Accelerare il progresso economico e tecnologico garantirebbe la sopravvivenza della specie umana. Emerge, dunque, una ulteriore equazione: chi vive nel tempo corrente conta quanto le prossime generazioni. È un manifesto dell’umanità in potenza (Doda, 2024, p. 31).
Le sue contraddizioni logiche
La teoria lungoterministica applica concetti matematici a scelte etiche: meglio investire nella colonizzazione dello Spazio per garantire un futuro ai mille miliardi di esseri viventi di domani piuttosto che ridurre la povertà del mondo attuale. Secondo il filosofo Nigel Warburton, è impossibile prevedere le conseguenze delle nostre azioni proiettandole in un futuro lontanissimo. Pur considerando il valore atteso sull’aspettativa delle nostre decisioni, la probabilità di indovinarne gli esiti si approssima allo zero. Émile Torres è una voce critica: nel saggio “Against Longterminism” denuncia lo scarso valore attribuito alle singole persone, a favore, invece, di una concezione edonistica del “valore” inteso come piacere o felicità.
Il rapporto con la tecnologia appare del tutto ambiguo. I grandi esponenti si presentano come sostenitori della regolamentazione dell’IA (c’è anche Sam Altman di Open AI per citarne uno) per due ragioni: sono responsabili dello sviluppo e del commercio ma ne riconoscono i rischi, anche se considerano le tecnologie imparziali. Vengono smentiti a più riprese dagli stessi algoritmi che producono perché tutt’altro che neutrali (si veda il caso della “polizia predittiva”, Doda, 2024, p. 49).
Ragionando nei termini delle emergenze ambientali, il prospetto sembra chiarissimo. Chi governa capitale e mezzi, troverà una via di fuga che sia nel bunker postapocalittico o nella monetizzazione della catastrofe. «Le differenze di classe influenzano enormemente la capacità di adattamento delle comunità ai cambiamenti climatici» scrive Irene Doda (2024, p. 50). La coincidenza tra i lungoterministi e i magnati del settore tech, tra tutti Musk e Bezos, ci impone di riflettere sul futuro nei termini del volano di opportunità che si apre dinanzi a una crisi globale. In primis, ricordare che anche la crescita, come la tecnologia, non è neutra e che le disuguaglianze sociali non sfiorano quel 10% più ricco della popolazione che detiene il 76% della ricchezza globale in grado di garantirsi il trasferimento su Marte.
L’impostazione filantropica del longterminism si fonda su un approccio gerarchico mediante un’erogazione unilaterale dei fondi e una gestione istituzionale top-down (Doda, 2024, p. 57), come atto solidaristico in risposta alla privatizzazione di beni e servizi (ivi, p. 72). Questo modello si ripete anche nell’interpretazione della realtà, cioè nell’idea che esista una comunità universale che condivide un destino comune. Non è così, soprattutto alla luce del legame di precarietà che tiene unite la questione ambientale e quella generazionale, in questo momento a svantaggio dei più giovani. Ma di redistribuzione non se ne vuole sentir parlare, anzi: un modello che si sostituisce allo Stato nel soddisfare i bisogni tende a creare criteri propri per individuare meritevoli e non meritevoli.
Appunti di “resistenza”
La pluralità delle soggettività nell’avvenire è una risposta al longterminism. “Siamo tutti uniti in un destino comune” pensano i miliardari. Invece, il limite dell’antropocentrismo è nel suo stesso rapporto con la natura: mentre prova a dominarla (cultura), dimentica di farne parte (ambiente) e di dover considerare la sua imprevedibilità. In una dimensione esteriore, gli individui esistono nel rapporto con la società a cui appartengono. Dunque, non è riscontrabile nella ripetizione storica dell’uguale l’idea di un futuro migliore, bensì nella trasformazione del presente che “resta con il problema” (parafrasando Donna Haraway).
All’orizzonte si intravede la corrente più libertaria e antistatalista dell'”accelerazionismo efficace” (e/acc), che appare opposta al lungoterminismo perché fondata sul tecno-ottimismo. Guillaume Verdom (ex Google e ora a capo della start-up Extropic) è uno dei volti ed è convinto che si possa programmare un sistema di civilizzazione. Irene Doda sostiene che siamo di fronte all’ennesima utopia dei miliardari.
Book Review a cura di Sara C. Santoriello